Le Bombe Sotto Casa – L’Azione

Il giornalista Fabrianese nel dramma di Boston
(Foto: Federica Del Monte)

Mentre scrivo, le immagini dei due sospettati per l’attentato alla maratona di Boston, appena rese pubbliche dall’FBI, stanno passando incessantemente su tutte le televisioni. Le guardo e faccio pensieri non solo impossibili da pubblicare ma addirittura difficili da confessare, anche ai migliori amici.

Stavolta, cari concittadini, mi sta riuscendo piu’ difficile che mai separare l’uomo dal giornalista. Forse perche’ delle tre vittime, una – la donna di 29 anni – abitava a Medford, il quartiere che confina con quello da dove vivo da 15 anni, un’altra – la ragazza cinese di 23 – andava all’universita’ alla Boston University, l’ateneo dove ho frequentato e superato il mio master in giornalismo, e l’altra ancora – il bambino di 8 – almeno nella mia mente di padre, gli assomiglia a tal punto al mio (che di anni ne ha 7) che ogni volta che la sua foto appare impietosamente su qualche network (cioe’ sempre!) devo voltarmi dall’altra parte per evitare i conati.

Proprio con mio figlio Ezio, la mattina della maratona – che qui a Boston coincide con la festa dei Patrioti – ovvero la commemorazione dell’inizio della guerra d’indipendenza, ero andato a Concord, luogo simbolo della rivoluzione Americana, a vedere la rievocazione storica della battaglia che in quei prati le aveva dato il via, cambiando per sempre il destino di questa terra. Una mattinata intera tra figuranti in costume d’epoca che non risparmiano salve di cannone e di moschetto, … vai a immaginare che dopo tanti botti finti la giornata sarebbe continuata con due botti veri che, di sicuro per un po’, e speriamo non per sempre, questa bellissima citta’ la cambieranno eccome!

Tanto per cominciare, in centro, i bei vialoni alberati del passeggio e dello shopping sono diventati una zona di guerra, transennata con le barriere e coi nastri gialli con su scritto “Cordone di Polizia – Limite invalicabile” tipici delle scene del crimine, affollata solo da soldati con caschi e mitra e da squadre speciali in cerca di indizi, e dove il solo traffico consiste in volanti della polizia, mezzi blindati, e altri strani veicoli paramilitari con parabole e orpelli tecnologici vari che si vedono – e neanche tanto spesso – nei film.

Impossibile evitare con lo sguardo le onnipresenti bandiere, a mezz’asta da ormai una settimana, cosi’ come gli accampamenti dei giornalisti televisivi e i loro enormi camper con le torri telescopiche per i collegamenti satellitari, agli incroci e nei parchi, dove di solito gli unici mezzi parcheggiati sono i carrettini degli Hot Dog.

E anche se tutti, dal sindaco Menino al presidente Obama – venuto qui a commemorare le vittime e a rincuorare i cittadini – ripetono che Boston non si lascia intimidire e che come l’atleta 78enne, caduto prima del traguardo per l’esplosione della prima bomba, si rialzera’ per continuare la sua corsa, e che il male non fa altro che stimolare nella gente la voglia di fare del bene (come, va detto, e’ successo anche in questo caso grazie a innumerevoli gesti piccoli e grandi di solidarieta’) l’aria che si respira, e che si respirera’ per un bel po’, non e’, e non sara’, piu’ la stessa.

C’e’ poco da fare: ad ogni evento pubblico – e qui, dai concerti gratuiti nei parchi al mezzo milione di persone che si riunisce sul lungo fiume per vedere i fuochi artificiali del 4 luglio, ce ne sono veramente tanti – sara’ impossibie non chiedersi se in qualche zainetto o in qualche cesto dei rifiuti non si nasconda un’altra pentola a pressione riempita non solo di polvere da sparo ma anche di chiodi e cusicnetti a sfera – messi li’ con l’intenzione di fare piu’ male possibile a piu’ gente possibile. (Non a caso ad almeno dieci dei 170 rimasti feriti sul traguardo della maratona piu’ antica al mondo e’ stato amputato uno o entrambi gli arti inferiori).

E sara’ impossibile non guardare la mia sedia pieghevole a stelle e strisce, usata con mio figlio la mattina del giorno dei Patrioti, e non ripensare alla stessa identica sedia che in una delle foto che per tutto il giorno dell’attentato ha aperto dal sito della CNN, era per terra, in primo piano, accanto a un corpo accasciato sull’asfalto, completamente imbrattata da schizzi di sangue.

Il fatto e’, cari concittadini, che nonostante l’indossare il cappello da giornalista, per raccontare l’evento e quanto segue, obblighi all’obiettivita’ e stemperi di conseguenza le emozioni, dopo quasi 17 anni di vita Bostoniana, il traguardo di Boylston Street nel giorno della maratona equivale per il sottoscritto, ne piu’ ne meno, alle logge del bar Ideale durante la serata finale del Palio.

Ecco perche’ spero che per quando leggerete questo articolo gli identikit si siano gia’ trasformati in arresti, possibilmente corroborati da prove inconfutabili di colpevolezza. Anche perche’ quando gli americani beccano i terroristi non li lasciano certo uscire per buona condotta e morire di vecchiaia a casa loro – magari con quattro deficienti che vanno pure al cimitero a cantargli l’internazionale.

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