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L’editoriale del Presidente Putin pubblicato sul New York Times alza i toni di uno scontro verbale e diplomatico USA-Russia che ricorda sempre più i tempi della guerra fredda

Il giorno dopo il discorso con cui il presidente Barack Obama esortava gli americani, nonostante gli sviluppi diplomatici della faccenda, a tenersi pronti , e soprattutto a sentirsi legittimati, per un attacco militare in Siria, sul New York Times è apparso un editoriale che chiudeva più o meno cosi: “E’ pericoloso incoraggiare la gente a sentirsi eccezionale … ci sono nazioni più o meno grandi più o meno potenti più o meno democratiche; siamo tutti diversi, e anche le politiche sono diverse, ma quando [come fa Lei, signor presidente] chiediamo l’aiuto di Dio non dobbiamo dimenticare che Dio ci ha creati tutti uguali.”

La cosa ha fatto infuriare il Congresso – in modo unanime e trasversale: e sarebbe successo c’è da scommetterci che anche se a firmare una cosa del genere fosse stato il Papa. Immaginarsi se, come in questo caso, la firma è del presidente Russo Vladimir Putin.

Gli americani, si sa, si sentono un po’ speciali, fin dall’inizio della loro storia, investiti di una sorta di missione divina per rimediare e raddrizzare i mali del mondo – quel “White Man Burden” (il fardello dell’uomo bianco) di cui parlava il poeta inglese Rudyard Kipling alla fine dell’800 e che gli imperialisti americani fecero prontamente loro per giustificare una serie di nefandezze domestiche e internazionali. Oggi chiaramente la parola “bianco” non si può più dire ma l’idea dai tempi dello scrittore di “If” è praticamente rimasta la stessa, quella della “splendente citta sulla collina” di cui parlava Ronald Reagan, rafforzata semmai dal fatto che dalla caduta del muro di Berlino in poi l’America è rimasta l’unica superpotenza ad avere i mezzi per intervenire militarmente a livello mondiale – come ha fatto negli ultimi 25 anni – spesso anche prendendo parte nelle diatribe altrui.

Putin ha semplicemente ricordato agli americani che questa missione divina in realtà se la sono data da soli, e (se non l’ha detto l’ha lasciato intendere chiaramente) che come si suol dire, se la cantano e se la suonano a seconda delle convenienze politiche del momento.

Così nonostante il pulpito non sia dei più adatti per una predica su democrazia e rispetto del diritto internazionale, il rimprovero ha colto nel segno. E i parlamentari, liberali o conservatori che siano, sono insorti all’unisono.

In realtà nell’articolo del leader russo – che (pulpito a parte) da un punto di vista logico non fa una piega – si ricordava agli americani quanto dannosa sarebbe un’altra guerra, il fatto che senza l’avallo dell’ONU ogni attacco sarebbe comunque considerato un’aggressione a uno stato sovrano e soprattutto che non ci sono prove certe e riconosciute, non tanto sull’uso delle armi chimiche –lì purtroppo non ci sono dubbi – quanto sul fatto che ad usarle sia stato il regime di Assad e non i ribelli (tra i quali ricorda Putin figurano “terroristi di ogni colore”) come esca per attirare nel conflitto la comunità internazionale. Ma su questo punto, quanto mai legittimo, commenti ufficiali non ce ne sono stati.

L’editoriale è l’ultimo atto di un’escalation di tensione, un botta e risposta a distanza (e non – vedi il G20 di San Pietroburgo) tra i due presidenti. Era iniziato con l’asilo politico concesso dalla Russia a Edward Snowden, la “talpa” dei servizi segreti che in realtà tentava di raggiungere l’Islanda – paese che gli aveva ufficialmente offerto rifugio – per evitare di farsi un secolo di galera come toccherà invece al militare Bradley Manning per aver “spifferato” segreti di stato a Wikileaks. Alla prima occasione, un talk show televisivo condotto dal famoso comico Jay Leno, un Obama, visibilmente irritato dalla cosa, al punto da cancellare il programmato summit bilaterale con Putin, aveva tirato un paio di montanti al suo “collega d’oltrecortina” tra cui un attacco palese alle leggi anti-omosessuali passate dal parlamento Moscovita a pochi mesi dall’inizio delle Olimpiadi invernali di Soci.

La Siria ha ovviamente esacerbato gli animi già caldi: ora se da un lato proponendo di porre sotto il controllo internazionale le armi chimiche di Assad, Putin permette a Obama di uscire dall’angolo in cui si era cacciato, rivolgersi, scavlcandolo, direttamente agli americani (già poco propensi a un intervento di qualunque tipo esso sia) ne scredita ulteriormente l’autorità.

Adesso come risposta ci vorrebbe un bell’articolo sulla Pravda firmato Barack Obama: a questo punto se è vero “che Dio ci ha creati tutti uguali” Putin (che nonostante le prediche la stampa russa la controlla eccome) non avrebbe motivi per non autorizzarlo.

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