La FIAT (Ri)Trova l’America – DG Marche (WEB)

In tempi di svendita del Made in Italy gli americani tornano a comprare auto italiane: viaggio tra gli oltre mille membri del FIAT Club America, fedeli al marchio per trent’anni, e oggi prezioso testimonial collettivo – piu’ credibile degli spot in TV

E’ difficile vedere, anche in Italia, tutte insieme nello stesso parcheggio dozzine di 124 Spider, X19 e 128 Abarth. Se poi quel parcheggio appartiene a un grande albergo nei boschi di Long Island, la scena diventa a dir poco surreale – specie se all’interno, nel salone delle feste, i proprietari passano la serata a tessere le lodi dei loro “gioielli rari” e della ditta costruttrice con tanto di video, presentazioni powerpoint e quiz, e a premiarsi l’un l’altro per le auto nelle migliori condizioni, per categoria, modello e addirittura anno di produzione.

Tutto questo, ed altro ancora, succede ad Happauge, sobborgo a mezz’ora da New York, al 30esimo “FIAT freak out”, raduno nazionale dei possessori di FIAT, al quale quest’anno hanno partecipato più di 200 equipaggi da tutti gli Stati Uniti.

Fino a un paio d’anni fa le auto erano tutte d’epoca, e non poteva essere altrimenti: la “Fabbrica Italiana Automobili Torino” abbandonò il mercato americano nel marzo 1983; nel luglio dello stesso anno il primo “Freakout” fu organizzato a Pocono, in Pennsylvania, sede di un famoso circuito ovale per le gare Nascar. Ci pensò Bobb Rayner, oggi allegro signore di mezza eta’ e al tempo possessore di una X19 Bertone e di una 128 in cerca di adepti con cui condividere la passione per questi veicoli strani (di fatto “Freak” in inglese significa strano, cosa che i membri del club non solo sanno di essere ma di cui, chiaramente, vanno anche abbastanza fieri).

“Eravamo in 12,” racconta Rayner con un po’ di comprensibile emozione. “Fino ad allora c’era solo un piccolo club che riceveva una rivista ogni tre mesi. E nessuno aveva mai fatto raduni. L’anno dopo venne qualcuno in più, l’anno seguente pure, via via abbiamo continuato a crescere, il tutto nonostante l’assenza di officine specializzate, pezzi di ricambio ecc… fino a diventare quello che siamo oggi: un club di oltre 1000 membri che, quando si incontrano si sentono come se fossero a una riunione di famiglia: pensi che alcuni si sono addirittura sposati durante i nostri raduni … ”

Una grande famiglia unita dal marchio FIAT insomma, che a quel marchio è rimasta legata, a distanza, per un quarto di secolo, e che agli occhi di chi cerca oggi di rilanciare quel marchio in America, non passa certo inosservata.

“E’ incredibile. C’è passione, c’è conoscenza, e le macchine sono tenute come dei gioielli. Non me lo aspettavo proprio”, dice visibilmente sorpreso Fabrizio Vacca, designer degli interni della nuova 500, mandato qui apposta da Torino, in concomitanza con il lancio di una serie di nuovi modelli, a condividere gli aspetti del suo lavoro con l’audience adatta sia in termini di attenzione – vista la passione maniacale per i dettagli comune a tutti i partecipanti ai raduni automobilistici del mondo – sia di marketing.

Va detto che dal suo ritorno in America, esattamente due anni fa, la FIAT si è lanciata in un’aggressiva campagna pubblicitaria fatta di spot costosi e geniali, trasmessi in prime-time, in cui oltre a testimonial d’eccezione come Jennifer Lopez si sono scomodati eroi della rivoluzione americana (particolarmente gustoso quello in cui Paul Revere recita la famosa frase: “Arrivano gli inglesi!” poi guardando meglio nel cannocchiale si corregge “No … sono gli italiani!” – a quel punto l’austero villaggio dei coloni si trasforma in un quartiere glamour completo di discoteca e espresso bar).

Allo stesso tempo però l’azienda si è mostrata da subito interessata a questo strano club sostenendone le iniziative, assicura il presidente John Montgomery, anche finanziariamente.

“Questa macchina per noi non è un elettrodomestico o un semplice mezzo di trasporto. E’ un fatto di amore”, dice Montgomery, venuto fin qui da Atlanta, in Georgia, a bordo della sua nuova 500. “In un certo senso abbiamo mantenuto il fuoco acceso. Il semplice fatto che dopo 30 anni le nostre macchine sono ancora su strada è gia’ una garanzia di qualità per il marchio. Un’azienda può dire quello che vuole ma è il tam-tam quello che conta. E comunque noi siamo più credibili della pubblicità.”

“Buona cosa che siano arrivati gli italiani,” gli fa eco Russell Harris proprietario FIAT dal 1974 e particolarmente orgoglioso della sua 124 Spider che nonostante i 35 gradi all’ombra ha guidato fin qui da Reading, Massachusetts. “Per la Chrysler, che stava davvero morendo, è stata una manna. E anche per noi del club: c’è stata un’impennata di nuova linfa, un sacco di nuovi iscritti, il che ha generato vendite anche tra di noi”.

Di fatto il parcheggio dell’Hotel incastonato nelle foreste di Long Island pullula, oltre che di “strane” macchinette antiche, anche di nuove 500 –molte già abbondantemente taroccate in linea con i gusti locali – e a guardare bene, queste colorate utilitarie Made in Italy abbondano anche per le strade di New York. “In due anni abbiamo venduto più di 100,000 vetture e siamo in crescita del 120% rispetto all’anno passato,” dice raggiante Nicole Longhini, brand manager per i nuovi modelli, venuta qui da Detroit per l’occasione insieme al direttore responsabile per la comunicazione dell’azienda. “La crisi? Quale crisi? Noi non sappiamo nemmeno come si scrive.”

foto di RITA BUCCHI

Leave a Reply