“Un Sogno!” Ma non e’ quello Americano – Famiglia Cristiana (Cartaceo)

Le reazioni della gente e del mondo politico all’elezione dell”intruso”. E ora i repubblicani fanno quadrato

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articolo“Mi sembra un sogno!” e’ la frase che si sente dire piu’ spesso in questa prima settimana dell’era Trump. Certo, per alcuni e’ di quei sogni angosciosi da cui non si riesce ad uscire, per altri, invece, uno di quelli cosi’ piacevoli da non volersi svegliare mai. Eppure, per gli uni e per gli altri l’immagine di Donald Trump e Barack Obama seduti insieme davanti al famoso caminetto della Casa Bianca o di Paul Ryan, il Presidente della Camera, che passeggia insieme al presidente in pectore per i corridoi del Capitol, la sede del parlamento Americano, e’ a dir poco surreale. Tanti americani lo temevano e quasi altrettanti lo speravano ma, in fondo, questo risultato non se lo aspettava davvero nessuno.

Non se l’aspettavano i tanti giovani che adesso scendono in strada, nelle citta’ e nei campus universitari a imbastire proteste – a questo punto inutili – contro un risultato, 30 stati su 50, che (nonostante il sostanziale pari nel voto popolare) in un sistema federale che conta i voti stato per Stato, piu’ netto non si puo’.

Non se l’aspettavano i tanti “analisti da social network” (versione moderna di quelli “da bar”) che adesso inondano il web di – altrettanto inutili – commenti, terrorizzati dal fatto che la presidenza Trump legittimi automaticamente razzismo, omofobia, xenofobia, sessismo ecc…

Non se l’aspettavano i media, fidatisi fino all’ultimo di sondaggi clamorosamente sbagliati, piu’ interessati alle analisi dei mezzibusti che ai lamenti di un America stufa di una ripresa troppo lenta e degli eccessi di ‘politicamente corretto’, e accusati, da sinistra, di aver dato troppa visibilita’ a un candidato sopra le righe per fame di audience a basso costo. Nel frattempo “The Donald” (come lo chiamavano quando licenziava la gente per finta in TV), che quelle tensioni le aveva intercettate eccome, continuava a sparare a zero su tutto e su tutti a patto che telecamere e riflettori restassero accesi su di lui. In un raro momento di autocritica il conduttore CNN Michael Smerconish ha riassunto: “eravamo tutti pronti a fare l’autopsia del partito Repubblicano e adesso dobbiamo andare al funerale di quello Democratico”.

Di certo i Dem non si aspettavano una tale disfatta. E a parte l’accenno di scaricabarile sull’FBI per aver riaperto in zona Cesarini l’inchiesta sulle email della Clinton, per i vertici del partito e’ tempo di mea culpa. Fino a lunedi’ scorso, il gruppo di Stati del centro Nord dal glorioso passato industriale, Pennsylvania, Ohio, Michigan, Wisconsin era definito lo scudo blu (che negli Usa e’ il colore dei democratici). Poi martedi’ e’ diventato improvvisamente rosso, come la ruggine – non a caso quella stessa zona piena di fabbriche chiuse e ex operai a spasso e’ chiamata “rust belt” – fascia della ruggine. Proprio in quella ruggine si sono incagliate le ambizioni presidenziali di Hillary Clinton; eppure il partito, convinto che ‘tanto a destra quelli non voteranno mai’ l’aveva preferita a Bernie Sanders, che nella rust belt avrebbe stravinto, mettendo dalla sua parte tutto il peso dei superdelegati alle primarie.

donald-trump-and-barack-obamaMen che meno se l’aspettava il presidente Obama, che nelle ultime settimane di campagna elettorale si e’ speso al punto da sembrare lui stesso, in certi momenti, il candidato. Certo ricevere, in casa sua, giovedi’ scorso, colui che per un anno ha promesso di smantellare tutte le conquiste del suo mandato (riforma sanitaria, allineamento mondiale sul clima e accordo sul nucleare con l’Iran) non deve essere stato facile.

E non sara’ facile nemmeno per Ryan che, sempre giovedi’, ha dovuto fare da cicerone a Trump per stanze e palazzi a quest’ultimo assolutamente sconosciuti. Adesso molti repubblicani, che ricordiamo anche grazie al suo “traino” hanno mantenuto la maggioranza in entrambi i rami del parlamento, dovranno fare rapidamente marcia indietro. Dopo aver preso le distanze dall’imprevedibile outsider, gli elementi piu’ esperti e illuminati del partito, i vari John McCain, Mitt Romney, Mitch McConnell (il capogruppo al Senato), se lo ritrovano a capo dell’esecutivo, e per evitare che la prossima amministrazione diventi un accozzaglia di figli e fedelissimi al limite dell’incapace, dell’imbroglione e del castigamatti (gia’ fatti, nell’ordine i nomi di Sarah Palin, Chris Christie e Rudy Giuliani) non possono non fargli quadrato intorno.

E lui, nonostante tutte le sbruffonate della campagna elettorale, sa benissimo di avere disperatamente bisogno di loro: dopo tutto 4.000 nomine in due mesi, di cui 1,100 previa approvazione parlamentare, e tra cui quella del nono, decisivo, giudice della Corte Suprema, preoccuperebbero anche il politico piu’ navigato. Immaginarsi uno che per tutta la vita ha costruito palazzi, gestito casino’ e condotto reality televisivi.

Oggi l’unica certezza e’ che, pian pianino, a questo sogno, o incubo che sia, ci abitueremo tutti: i fan e i contestatori, i Democratici e i Repubblicani e … si’ anche lui, il Presidente Trump: anche perche’ osservandolo bene in volto mentre dalla terrazza del parlamento Ryan gli indicava quella che sarebbe stata la sua casa (Bianca) – e il suo ufficio (Ovale) – per i prossimi quattro anni, s’intuva che questo trionfo non se l’aspettasse, del tutto, nemmeno lui.

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