Dai “Monticelli” all’Himalaya (L’Azione)

Per lavoro denuncia gli abusi dei potenti sui deboli, per passione cammina – e all’occorrenza si arrampica – sulle montagne. L’incontro, durante un convegno di Amnesty International, con un Monaco dissidente diventa l’occasione di combinare le sue due ragioni di vita con un viaggio in Tibet, …a piedi! Al ritorno l’attivista fabrianese Flaviano Bianchini, che di mestiere fa monitoraggio dei danni che le multinazionali causano all’ambiente con I grandi progetti estrattivi (oro e petrolio), trasforma la sua esperienza in un libro: “In Tibet, un viaggio Clandestino”, blasonato con la menzione speciale del premio Chatwin – il premio piu’ importante d’Italia per I libri di viaggio. Prima di presentare il libro all’oratorio della Carita, col patrocinio del comune e la collaborazione delle associazioni Papaveri e Papere e Inarte, Bianchini ha raccontato quanto segue al conduttore della serata, il giornalista RAI Stefano Salimbeni.

Flaviano Bianchini, perche’ un viaggio “clandestino”?

Da quando il Tibet e’ stato invaso dalla Cina nel 1959 e’ proibito entararci se non con viaggi organizzati da tour operator cinesi. Il mio viaggio in Tibet parte dall’incontro con un Monaco tibetano esiliato dopo aver passato 33 anni in carcere per essersi rifiutato di denunciare pubblicamente il Dalai lama. Lui mi ha chiesto di andare e raccontargli com’era. Io dovevo raccontargli il Tibet reale, non quello che ti fanno vedere i tour operator cinesi: dunque l’idea di entrarci clandestinamente. E attraversarlo a piedi perche’ secondo me un vero viaggio si puo’ definire tale solo se fatto a piedi: in aereo, in macchina o in pullman ti sposti semplicemente da un luogo all’altro, a piedi viaggi. Specialmente in questo caso, perche’ ti sposti nello stesso modo in cui da sempre si spostano i tibetani.

Che cosa ha scoperto, camminando per 1600 kilometri sul ‘tetto del mondo’?

Tanto per cominciare, la forza del popolo tibetano, un popolo che resiste sia nell’affrontare una vita resa difficile da altitudine e temperature sia nel mantnere vive le sue tradizioni, nonostante cio’ che la Repubblica Popolare cinese sta tentando di fare da piu’ di 50 anni

Perche’ I cinesi vogliono che il Tibet sia cinese?

Il primo motivo e’ geopolitico: il Tibet e’ la porta per l’Asia centrale, e collega la Cina con l’India, il Pakistan, l’Afghaistan e tutte le repubblice ex sovietiche ricche di petrolio. Un altro motivo sono I minerali: il Tibet e’ la zona piu’ ricca al mondo di risorse minerarie. Tanto per fare un esempio, nel 2007 la Cina ha superato il Sudafrica come primo paese al mondo per produzione aurifera, e tutto quest’oro viene dal Tibet.

E perche’ I tibetani non volgiono essere cinesi?

In realta’ I tibetani non hanno mai conosciuto grande indipendenza e starebbero anche bene all’interno della Cina, se Pechino concedesse loro autonomia culturale e soprattutto religiosa, dato che la religione buddista in Tibet e’ la base fondante del vivere. Ma nella pratica, cultura e religione vengono represse in ogni minimo dettaglio: addirittura sono state proibite usanze come sedersi a gambe incrociate o spruzzare gocce d’acqua nell’aria prima di bere come omaggio agli spiriti. Il fatto e’ che la Cina sa perfettamente che affinche’ il Tibet smetta di rivendicare la propria inidpendenza lo deve completamente “cinesizzare”. Questo lo ha imparato dagli errori altrui, specialmente quelli commessi dall’Unione Sovietica nei confronti delle repubbliche dell’Asia centrale e del Caucaso.

Secondo lei cosa puo’ e cosa dovrebbe fare la comunita’ internazionale per risolvere il problema Tibet ?

Cosa “dovrebbe” fare e’ sicuramente pressione sul paese che lo sta occupando da 50 anni. Cosa “puo’” fare in realta’ molto poco: sappiamo tutti che la Cina e’ ormai una potenza economica in espansione e che ora piu’ che mai e’ il capitale cinese che ci sta aiutando a non affondare nel debito pubblico, dunque se loro ci aiutano non possiamo andare piu’ di tanto a rompergli le scatole sul Tibet .. magari bisognava pensarci prima! Oramai, comunque, nell’indipendenza completa non spera pu’ nessuno, nemmeno il Dalai Lama! Quello che il Tibet chiede e’ una vera autonomia, anche perche’ nonostante la chiamino “Regione autonoma” di tutte le regioni cinesi e’ la meno indipendente in assoluto.

Il suo e’ un lavoro rischioso, e questo viaggio in Tibet anche se non si puo’ definire tecnicamente un “viaggio di lavoro” non e’ stato da meno.

Un vecchio proverbio recita “chi non risica non rosica”. Se uno non esce di casa perche’ ha paura di cadere dalle scale non imparera’ mai niente. Io per imparare un po’ di vero Tibet, ho rischiato ad esempio di essere considerato una spia dalle autorita’ cinesi con tutto cio’ che ne consegue. Le ho viste le guardie cinesi girare di notte con I bastoni di bamboo destinati alle schiene dei dissidenti. Da un punto di vista pratico poi … 1600km a piedi spesso da solo … con la consapevolezza che se ti rompi una gamba nessuno ti viene a riprendere.

A chi e’ diretto questo libro?

Il libro e’ diretto a tutti, perche’ credo che la realta’ tibetana debba interessare tutti: non possiamo restare qui chiusi nella nostra bambagia europea e non considerare che fuori da qui ci sono milioni e milioni di persone che vivono situazioni difficili, e per difficili non intendo che non riescono a comprarsi il telefonino nuovo alla fine del mese.

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