Startup a Stelle e Strisce (Famiglia Cristiana, WEB)

Segmento ‘americano’ del Dossier “Startup L’Italia Giovane che Cresce”
pubblicato su www.famigliacristiana.it il 23 Aprile 2012

Boston

Uno su dieci ce la fa. E’ questo il tasso di sopravvivenza, negli Stati Uniti, delle “Internet startup”, aziende di servizi via web che sviluppano idee rese possibili, o prodotti resi appetibili, dalle nuove tecnologie. Certo non è l’ uno su mille del famoso brano di Gianni Morandi ma è pur sempre un misero dieci per cento. Chi investe su queste idee – spesso apparentemente strampalate – e sui giovani scienziati e ricercatori che quasi sempre le partoriscono – lo sa bene, ma sa altrettanto bene che quell’unica azienda che riesce a “sfondare” li ripagherà ampiamente delle perdite inflitte dalle altre nove.

“In questo mondo o cresci a dismisura o muori”, dice Leonardo Bonanni, ex ricercatore del mitico Media Lab, pensatoio di assoluta avanguardia, all’interno dell’altrettanto mitico MIT di Boston. Il fatto che sia stato costretto a lasciare il suo posto da direttore di un intero team di ricerca per dedicarsi interamente al business, lascia intuire che la sua startup, “Sourcemaps.com”, si stia avviando verso la prima delle due opzioni.

I modelli a cui aspirare sono sotto gli occhi di tutti. Insieme ai colossi, Google e Facebook, nomi noti anche agli ormai rari computer illiterate, cioè gli analfabeti del computer, ci sono siti altrettanto familiari agli internauti americani che, o trasformano in digitali attività già esistenti, come Mapquest (mappe) Craigslist (annunci economici) o Ebay (aste dove comprare praticamente di tutto), oppure creano addirittura nuove abitudini come i popolari Twitter (messaggeria collettiva), Linkedin (network tra professionisti) o Groupon (acquisti di gruppo di beni e servizi a prezzi stracciati).

Tutti nati da unidea, un gruppo di giovani – motivati e tecnologicamente capaci – e qualcuno che all’inizio ha dato loro fiducia, e, senza garanzia alcuna, abbastanza soldi per partire (“start up”, appunto). Per Bonanni e il suo sito – che traccia la provenienza dei beni di consumo calcolando il carbon footprint, ovvero l’inquinamento necessario a produrne e a trasportarne ogni singolo componente – il volano è stato lo stesso MIT.

Dal 2008, quando e’ nato, all’aprile dell’anno scorso “sourcemap” era uno dei tanti progetti di ricerca del Tangible Media Group, nel quale Bonanni lavorava come dottorando prima e ricercatore poi. Oggi, dopo un anno di attivita’ indipendente vanta gia’ 8,000 utenti ad accesso gratuito (utili al titolare e I suoi quattro collaboratori ad acquisire dati) piu’ una serie di aziende “paganti”, tra cui Airbus e Office Depot, che usano informazioni riservate per avere trasparenza dai fornitori, ottimizzare le filiere e dimostrare sensibilita’ ecologica ai loro clienti finali.

“Altrove, non so se sarebbe stato possibile”, riconosce Bonanni, nato a Chicago da padre italiano e madre francese. E aggiunge: “L’università mi ha dato la struttura, i collaboratori e la possibilità di girare il mondo a convincere più gente possibile dell’utilitàdi un servizio che ancora non esisteva”, aggiunge, tenendo a precisare che, nonostante ora voli con le proprie ali, rapporti e collaborazione col prestigioso politecnico rimangono stretti.

Di fatto, se in America le startup nascono come funghi, gran parte delle “spore” vengono proprio dagli atenei. Le idee nascono e crescono o al loro interno (in laboratori finanziati sia da stato che da privati) o appena fuori i confini dei campus, nei cosiddetti spin-off, aziende che producono e commercializzano scoperte o invenzioni scaturite dalla ricerca accademica. E in questo caso i soldi vengono dal cosiddetto “Venture Capital”, ovvero ditte intermediarie tra i classici fondi comuni di investimento e le startup, dipsoste a investire, praticamente a fondo perduto, su idee potenzialmente vincenti.

Non a caso Boston, sede di almeno 50 atenei, alcuni tra i più blasonati al mondo, è con circa 700 milioni di dollari investiti nell’ultimo quarto del 2011 il secondo mercato mondiale per questa attività, ad alto rischio ed altrettanto alta possibilità di profitto – la California trainata dalla Silicon Valley è il primo, con un giro d’affari almeno quattro volte maggiore. “Dopo l’esplosione della famosa bolla di Interne’ nel 2000, gli investitori si sono fatti più esperti, più sofisticati, e anche in questo campo la crisi ha operato una sorta di selezione naturale”, spiega il prof. Peter Russo, docente alla facolta di economia e finanza della Boston University.

“Da allora si sono moltiplicati anche i cosddetti Angel Investors, (Angeli dell’investimento), imprenditori, sopravvissuti alla crisi di dieci anni fa e arricchitisi, magari fondando a loro volta startup, che adesso, singolarmente o a piccoli gruppi, finanziano le nuove – spesso addirittura nella loro fase embrionale”. Trattandosi di cittadini – e soldi –privati , gli “angeli” sono praticamente impossibili da censire, eppure secondo statistiche recenti della fondazione Kaufmann (prestigioso think tank per imprenditori) sembra che il loro peso economico abbia gia’ raggiunto quello delle aziende di Venture Capital tradizionali, di cui, al contrario, essendo soggetti di diritto registrati come tali, si conosce il numero preciso (nel 2010 quelle con investimenti superiori ai 5 milioni di dollari annui erano 462, per un giro di affari totale di 23 miliardi circa).

“Il bello è che, almeno in questa nazione né gli uni né gli altri considerano il fallimento (degli imprenditori) una cosa negativa”, conclude il professor Russo. “Anzi chi ha fallito in passato ha più probabilità di ottenere finanziamenti rispetto a chi non ha provato mai. L’importante è dimostrare di aver fallito per un buon motivo e di aver imparato qualcosa da quell’esperienza”. Dalla sua breve, intensa, e tutt’altro che fallimentare, esperienza, Bonanni sembra aver già imparato molto.

“Se avete un’idea, e pensate che funzioni, la prima cosa è crederci, crederci fino in fondo”, consiglia a chi si affaccia oggi nel mondo delle start up americane. “Non nel senso dei soldi, piuttosto credere che la vostra idea, il vostro prodotto è ciò di cui il mondo ha bisogno, o almeno che contribuirà a renderlo migliore. I soldi, poi, arriveranno di conseguenza”.

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